Pianura padana peggiore degli ecomostri
«Disordinato, frutto di una pianificazione confusa, e tutelato solo in parte secondo schemi superati». E' il paesaggio italiano per Massimo Quaini, il docente dell'Università di Genova che ha coordinato il Rapporto annuale della Società Geografica. «Lo stato pietoso del nostro Paese dal punto di vista paesaggistico è lo specchio fedele della selva di leggi e provvedimenti che, invece di fare chiarezza, hanno incentivato la cementificazione. E il piano casa di cui si è discusso qualche tempo fa e che presto potrebbe tornare d'attualità non farà altro che peggiorare la situazione. Ci sarebbe bisogno di ben altri interventi».
Ad esempio?
«Il nostro lavoro ci ha portato ad analizzare il territorio partendo dalla prospettiva dell'Italia rurale, aspetto di assoluta importanza, eppure sistematicamente mortificato a vantaggio di logiche di sviluppo economico spietate o di modelli di tutela limitati ai centri storici. Quel che ci vorrebbe, invece, è un'intensa campagna di manutenzione del territorio, un serio e metodico restauro del paesaggio agricolo».
Pensa che sia necessario conservare l'integrità della campagna italiana?
«Non si può fare a meno di sottolineare che spazi strettamente naturali non esistono più. La mano dell'uomo arriva ovunque, anche nelle riserve, nei parchi, persino nel cuore delle foreste. E allora perché ignorare una fetta così importante del paesaggio come le nostre campagne? È una parte del nostro Paese purtroppo sottovalutata, ma che invece ha un valore incommensurabile».
Ma la struttura normativa e burocratica del nostro Paese ci consente interventi di questi tipo?
«In effetti le competenze in materia paesaggistica rappresentano un altro tasto dolente, perché sono decisamente mal distribuite dal centro agli enti locali. Comuni, Province, Regioni e poi il ruolo cruciale delle soprintendenza spesso si sovrappongono nella loro attività di controllo e prevenzione. Se non si lavora in maniera coordinata, si corre il rischio di autorizzare scempi e devastazioni urbanistiche».
Si riferisce agli ecomostri?
«Quelli sono solo la punta dell' iceberg. Mi preoccupano più fenomeni di ampia portata, rispetto ai quali non c'è la possibilità di intervenire. Mi riferisco, ad esempio, alla pianura padana trasformata in un'unica grande area metropolitana, come la chiamano gli urbanisti. Un confuso modello insediativo dove quartieri suburbani e periurbani si mescolano, dando vita alla perfetta negazione del paesaggio rurale».
Pensa che la sensibilità degli enti locali rispetto al paesaggio stia mutando?
«Recentemente lo ha ribadito anche Giulia Maria Crespi proprio al Corriere, dando l'allarme sui Comuni che per far cassa sono disposti a tutto e cercano di compensare con gli oneri di urbanizzazione le minori entrate che provengono dallo Stato. In altre circostanze si accettano supinamente le aggressioni al territorio di criminalità e cattiva amministrazione, come accaduto in Campania o in alcune zone del Lazio, con l'avvelenamento sistematico del paesaggio».
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